IO SONO LA LUCE!

Turner la Temeraria

Sono al buio, Ruskin…
Sono al buio.
Volontariamente da giorni ho chiuso la finestra, immerso nel buio totale…
Volontariamente non concedo a nessun abitante di questo quartiere di conoscere la mia identità.
Anche fuori, tra la gente, vivo nel buio.
Turner, il grande, il Magnifico, con ferma e inoppugnabile decisione ha voluto inabissare nel buio la sua vera identità. E se qualcuno mi chiede
chi sono? Rapida diventa la risposta…pensa un po’, proprio ieri ho risposto che sono un militare in pensione, un certo Peggy Booth.
Tu per caso lo conosci? Nel buio di questa stanza, vecchio testardo, riesco a divincolarmi dal passo della decadenza, fiero padroneggio ancora il movimento per afferrare il mio graditissimo bicchiere di rum.
Rum, amico di vecchia data! Rum, ricchezza nobile che tu ben conosci, dato che tuo padre era un facoltoso commerciante di liquori.
Ora ascoltami, Ruskin…aiutami a chiamare Sophie, la mia povera damigella, lei sa cosa devo fare….
Lei sa cosa voglio! Capito? Il comandante William lo esige! E’ un ordine che dovete eseguire per la sopravvivenza della mia arte! Della mia luce! Ho voluto rimanere al buio per giorni…
Ma oggi, all’infuriar di mezzogiorno, quando la luce avvampa nel cielo, vi ordino senza indugio di spalancare la finestra! Devo scoprire la
potenza della luce, devo sperimentarla su me stesso, devo viverla in tutta la sua forza!
Attendo ancora qualche istante…
Oh Ruskin! Com’è disumanamente crudele il bagliore della luce solare! La crudeltà, la spietatezza è la stessa della mia opera “Regolo”. Quell’opera feroce nata nella mia mente per rappresentare il
supplizio del valoroso console e generale romano, Marco Attilio Regolo, fatto prigioniero dai Cartaginesi. In cambio della sua libertà egli avrebbe dovuto convincere i Romani a desistere dalla guerra, ma il vero eroe non baratta mai la sua dignità, nemmeno se la tortura è straziante, orribile.
Gli vennero recise le palpebre e fu esposto come carne da macello
alla luce accecante del sole.

E io, William, ora, tragicamente sto sfidando questa ferocia! La mia arte mi chiede di conoscere la potenza della luce anche nel suo dramma!

quadro Turner regolo

Poi…
ritorno nel mio buio…chiudi la finestra
sono diventato di nuovo una falena notturna…
Mi stai chiedendo che cosa si può scoprire nel buio?
Diventiamo parti di noi, molteplici personaggi, pronti a viaggiare nel buio…
Ma siamo senza difese.
Il mio, Ruskin, è il viaggio della reminiscenza. In questo mio ultimo viaggio divento il Platone dell’arte per scoprire idee eterne, immortali, come la mia arte.
Nel buio vivo il risveglio della mia memoria.
Un’ impresa che mi è stata concessa solo ora, terribilmente condannato a non viaggiare più, perché questo mio corpo brutalmente
denigrato dal tempo si sottrae al mio desiderio di conquista.
Ti sei mai chiesto che cosa rappresenti il viaggio? Da dove nasce questo desiderio così forte, sigillo del coraggio, ma a volte dannatamente
drammatico?

Come il viaggio della follia di mia madre.
Di nostra madre, mia e di Helen.
Dopo il grande William, a distanza di anni, nacque la piccola Helen.
Fu una vita improvvisa, rapida come la sua morte. Non feci nemmeno in tempo ad insegnarle l’arte della pittura. Nessuno mi spiegò la causa
della sua morte. In un lampo di luce nacque, in un lampo morì.
Mi ripetevo che era meglio così, perché nella sua fugace comparsa, non avrei sofferto il tempo delle aspettative, dell’attesa.
Comunque, ad essere sinceri, per quel suo occhio così azzurro, io avrei deposto il mio scettro di figlio unico.
Feci in tempo invece a vedere mia madre attendere inerme il tifone della follia.
La sua mente navigò solitaria, solcò onde impetuose, provai a dirle che il tifone era in arrivo, lo feci prima che venisse scaraventata fuori
dall’impeto della vita e rinchiusa in manicomio, al “Bethlehem
Hospital”, in quel maledetto luogo chiamato “Belam” per indicare luogo di confusione, di caos, di disperazione!
Sai Ruskin, solo alla morte di mia madre seppi che al “Belam”, il popolo londinese pagava un biglietto per assistere allo spettacolo dei malati,
ai loro accessi, ai loro sguardi allucinati, alla loro richiesta di aiuto.
Un biglietto d’ingresso senza pietà, pronti per saccheggiare le loro vite per poi ordinare di gettarli in mare, senza via di scampo.
Quella notte quando la portarono via da casa sentii solo alcuni suoni brevi, striduli, simili al canto maledetto di una civetta.
“Non può certo essere mia madre”,pensai.

Frances Elizabeth Wynne Casa natale di Turner

Ma quei suoni diventarono presagio di morte.
Solo più tardi compresi che erano i suoi lamenti, le sue imprecazioni
verso chi la stava portando via, costretta a diventare schiava dentro una “nave negriera”, “il Bethlehem Hospital”. Al Bethlehem, il
commercio dei folli risultava lucroso per i nuovi esperimenti sulle loro povere menti. Anche lei sarebbe stata incatenata, costretta a dormire
nuda, a subire macabri esperimenti per sconfiggere la follia come
l’essere seduti su una sedia sospesa dal soffitto e patire l’inferno della roteazione per un tempo stabilito dal carnefice. Ma queste orribili
torture vennero scoperte più avanti, quando mia madre si dissolse nel
mistero della nullità…

a volte mi chiedo se la morte sia condizione per il nulla…
anche William si dissolverà nel nulla?

Turner la nave negriera

Iniziai ad odiare mia madre perché se mi avesse amato avrebbe
trovato dentro sé stessa un modo per sconfiggere la pazzia, un modo per restarmi accanto ed osservare ammirata le mie opere.
Lo fece mio padre, il mio buon padre.
La Divina Provvidenza mi donò un padre che adorava il suo figliol prodigo.
Uomo dotto, perfetto conoscitore di fini crini per fabbricare
parrucche, uomo dalle molteplici attitudini. Come il più abile
anatomista, conosceva perfettamente i rapporti matematici che si fissano sui volti, con lui il taglio della barba era perfetto! Era uno dei barbieri più richiesti. Dentro alla sua bottega m’impartì lezioni di lettura e scrittura e mai si dimenticò di far trionfare sulla sua vetrina
i miei disegni, quelli che lui chiamava: i tratti geniali del piccolo, meraviglioso Billy.
Il suo Billy aveva solo cinque anni e i suoi disegni erano già opere.
A cinque anni la luce conquistò i miei giochi infantili, desideravo
rincorrerla, scoprire l’ombra, mi chiedevo come potesse rendere agli alberi e alle piante un carattere mutevole in base al suo sopraggiungere con l’avanzata delle ore. La luce diventò la mia inseparabile compagna, ma, più desideravo scoprirla, più si ostinava
a mostrarsi fiera nel proclamare al mio sguardo come la conquista
necessitasse di un tempo lungo, laborioso, affine solo al patto che avrei stabilito esclusivamente con lei, in un vincolo indissolubile, vitale.
“Sfiderò con te ogni avversità, ogni pericolo, ovunque tu vada sarò la
regina dei tuoi giorni, ma in cambio promettimi che scoprirai il mio segreto nel mio passaggio quotidiano”. In quella giovanissima età,
intuii  che l’unico modo per avvicinarmi al suo segreto era la sua rappresentazione.
Iniziai a disegnare la luce, a cogliere il suo linguaggio in ciò che il mio occhio bambino amava di più: la natura. Imparai ad ascoltare la
sua voce nei colori lussureggianti dei fiori, nei primati coloristici che mi offriva ogni cambio di stagione.
Di notte ne sentivo la mancanza, spalancavo gl’occhi per percepirne intimamente la presenza. Mi convinsi che questa mia compagna
sarebbe riapparsa solo se avessi continuato a dipingerla. Ma quale segreto sarei riuscito a scoprire nel suo passaggio quotidiano?
Con il passar del tempo, concessi a mio padre il dono di conoscerla, di
scoprirla aiutandomi nel procedimento della formazione dei colori. La sua mente fervida si occupò del mio blu oltremare, della biacca,
della ricchezza del giallo ocra.
Anche per mio padre l’ocra giallo era un colore disceso dal cielo.
Anche per papà l’alba non soffriva mai di cali di luce.
L’alba era perfetta per dimenticare tutte le sue, le nostre sofferenze.
Simili nel carattere? Simili nel temperamento? Di un fatto evidente ero certo! Ne acquisii subito la piena consapevolezza: ci assomigliavamo
nella bruttezza!

Turner ritratto del padre

Non riesci a frenare le tue risa, Ruskin? Il magnifico
William Turner in grado di rappresentare con tocco divino la pura bellezza, ha il volto, il corpo di un Gargoyle! Sono un omuncolo…
un brutto omuncolo.
Il buon Dio ha voluto storpiare la mia immagine per rendere ancora più nobile la mia arte? Dalla visione dei miei quadri qualche buon
buon estimatore si aspetta di trovarsi di fronte ad un uomo dai tratti
aristocratici, perfetti e raffinati come la sua arte. Anche Delacroix attese questa nobiliare presenza…
Si presentò invece ai suoi occhi un uomo che assomigliava a un vecchio lupo di mare….io, William, colsi subito la sua delusione. Agli occhi
di Delacroix apparivo come uno scherzo del destino.
Ma il giorno dopo ritornò alla Royal ad ammirare le mie opere. “La sua luce incanta” furono le parole che accompagnarono il suo ritorno a
Parigi.

Turner veduta verso snowdon

Da quel giorno, della mia inesorabile bruttezza non me ne avvidi più; mi sentii solo il “Magnifico” William, unico detentore
di un’arte di suprema bellezza. La mia arte era magistrale!
Vuoi sapere se caddi mai nella debolezza dell’innamoramento di opere
altrui? Il mio occhio fu implacabile nel mostrarmi le meraviglie di Cozens! All’apparizione delle sue opere, bastò solo una domanda per
scardinare la mia assoluta supremazia, finora così devota alla mia
arte. “Sarei stato costretto a riconoscere che tutta la mia felicità consisteva nel desiderio prepotente di qualcosa che non avrei mai
raggiunto?” Mi misi all’opera, Ruskin, perché per diventare l’ultimo
uomo universale a vivere sulla terra, dovevo aspirare alle verità dell’arte di Cozens per poi superarle, inevitabilmente…
La mia arte l’avrebbe dimostrato senza indugio, senza paragoni.
Ora ascolta attentamente, perché mia madre si presentava ovunque….
la follia non smarriva mai la sua strada!

Sorprese anche John Robert Cozens, e lo sorprese quando iniziai a considerarlo il mio maestro.
Conobbi Cozens scoprendo la voce di un inquieto dottore, quel tal Monro, che al contrario della buona morale pronta ad eliminare
qualsiasi traccia di follia, lui la follia l’ascoltava, semplicemente
l’ascoltava perché in fondo in fondo la comprendeva. Il dottor Monro aveva in cura Cozens, acquarellista dal tocco assoluto, la cui mente
fu assediata dal giudizio nefasto dato dalla Royal Academy alla sua
splendida serie di disegni: “Delineation of the general characters of forest trees”. La Royal definì il suo lavoro: “Arte impropria!”
era l’anno 1784, Cozens era nel pieno del suo folgore pittorico, a trentun anni custodiva il mistero della solennità, dell’immenso
che la natura rivelava al suo sguardo.

Cozens

Perché la Royal sconsacrò la sua arte? Quel giorno Monro chiamò a raduno i suoi amati folli in quelli che lui definiva “incontri artistici”,
ma forse era solo la sua strategia per farci comunicare con la nostra arte le nostre paure, i nostri desideri più oscuri.
Si presentarono due nuovi folli: il sottoscritto William Turner e l’abilissimo Thomas Girtin, a dirtela tutta un potenziale nemico
per la mia carriera. Desideravamo entrambi scoprire se le parole di
Constanble a riguardo di Cozens fossero vere: “Il più grande genio che abbia mai trattato il paesaggio”.
Quel tributo avrebbe dovuto spettare esclusivamente a William Turner! Ma prima era necessario scoprire le verità delle parole di
Constanble e, se l’arte di Cozens fosse stata conforme alle sue parole, il
mio compito sarebbe stato quello di indagarne il perché e conquistare i segreti dei suoi dipinti. Attesi impaziente di conoscere Cozens…
Nei suoi occhi ritrovai  il delirio della follia, ma quel delirio andava oltre la follia di mia madre…possedeva ancora il desiderio dell’incanto.
“L’arte e il profondo sublime dentro alla voce della follia”. Era questo che voleva conoscere il dottor Monro nell’arte di Cozens?
Ti sembra strano? A volte i medici sono più folli di noi artisti. Al povero William e a Girtin spettò il compito di ultimare i disegni che Cozens
non terminava. Perché lo feci?
Perché le parole di Constanble erano decisamente vere! E in quella lontana promessa stipulata nella mia infanzia, dovevo pur trovare
una risposta: “Ovunque tu vada dovrai scoprire ogni mio segreto nel passaggio quotidiano”.
Quel giorno lontano mi parlò la luce.
Nei dipinti di Cozens, la luce era la voce di Dio.

Poi a ventiquattro anni fui folgorato dalla pittura di Lorrain. La sua opera “Porto di mare con l’imbarco della regina di Saba” si presentava
ai miei occhi come una sirena ammaliatrice: più ascoltavo la voce di
quell’opera, più la solarità di Lorrain, la sua luminosità cromatica, mi apparivano ineguagliabili.

Lorrain porto di mare con l'imbarco regina di Saba

Per la prima volta pensai che mai sarei riuscito a dipingere
come quell’opera che mise a nudo la mia vulnerabilità.
Una tenera commozione pervase anche il mio gelido sangue. Impreziosii i miei occhi del suo “Liber Veritas”, il suo album
di disegni tratti dai suoi dipinti. Straordinario era l’uso della luce!
Quella sua luce zittiva ogni mia conquista fino ad allora raggiunta. Ero un uomo che di fronte alla grandezza di Lorrain, avrebbe potuto
svanire nel nulla. Provai invidia? Oh No! Semplicemente un’inquieta paura di tradire me stesso, le mie innate, eccezionali
capacità. Solo papà comprese il mio affranto.
Il povero William Turner che non brillava certo per eloquenza, iniziò a parlare solo con il suo taccuino di schizzi. Quel taccuino diventò il mio diario.
Quel diario raccontava il mio rapporto intimo, esclusivo, con la luce.
Ormai ero ossessionato! La luce diventava padrona della mia mente.

Divenni suddito della luce: lei sovrana, io suddito pronto a sedurla.
Il mio desiderio era irrefrenabile… dovevo individuare tutti i modi in cui il mio occhio era in grado di registrare ogni minimo cambiamento
della luce. Mai, comunque, dichiarai quanto intendevo realizzare.
L’impresa sarebbe stata solo mia! Scomparve la paura di finire nell’ignoto. Ritornai ad essere il William fiero, oltraggioso, nobile,
irrispettoso della buona condotta. Ma anche il dispotico ha il bisogno
vitale di proclamare le sue verità.
Le verità della sua esistenza, la natura della sua arte, il trionfo della sua potenza!
Nessuno poteva essere alla mia altezza! Le mie opere proclamavano la mia presenza, la luce si sarebbe fatta conquistare solo dal magnifico
William. E gli allievi? Non ne volli nemmeno uno, nessuno era in grado
di testimoniare la mia arte. Gli allievi servono solo a chi vuole sconfiggere la morte! Allievi…lascito testamentario del maestro?
Ma il grande Turner oltre alla sua inesauribile arte, è nato beffando la
morte! Io l’ho beffata scoprendo il segreto della luce, ma questo Ruskin te lo concederò più avanti…lo scoprirai anche tu.
Quel segreto si custodiva dentro al mistero della luce, e madre della luce poteva essere solo la natura, con i suoi paesaggi, i suoi volti, le
le sue carezze o quelle maledette sfide che mettevano a dura prova il
destino dell’uomo. Accadde anche al grande William sentirsi sopraffatto dalle forze della natura. Quella notte, in mare prima
di giungere a Calais, le onde urlarono la loro forza, le loro risa diaboliche.

Turner il molo di Calais

Nel loro fragore impetuoso tentarono in tutti i modi di
avvilire il mio coraggio…il duello fu lungo, estenuante, ma
giungemmo ad un tacito accordo: il mare mi avrebbe concesso di arrivare a Calais, la nave finalmente sarebbe approdata, io, in cambio,
avrei rappresentato la sua forza, violenta, indomabile, ma
magnificamente maestosa. La natura diventò soggetto vivente dei miei quadri.
Dovevo diventare parte della natura…
Per capire la sua anima dovevo sfidarla, dimostrarle tutto il mio coraggio. Decisi di farmi legare all’albero di un’imbarcazione in
balia di una tormenta per vivere in prima persona l’urlo del vento flagellante. Mi incuteva paura? Come può far paura la verità?
“Tempesta e impeto”, di questo avevo bisogno. Ero un essere che
non avrebbe mai eguagliato la sua forza, ma la sfida mi consentiva di rappresentarla! Esanime quel giorno, dopo la furia della tempesta,
tornai a casa; le mie mani padroneggiavano ancora l’uso sapiente
del colore. E magnifico fu il mio ultimo tocco dato alla luce. Ben presto la natura sarebbe diventata mia alleata, ne ero sicuro! Nella natura
volevo trovare soggetti adatti a esprimere particolari stati d’animo: la
natura silenziosa, la natura e le sue forze devastatrici. Le mie opere vivevano la percezione che la natura mi donava, che il sublime mi
elargiva. Ma cosa mi chiedeva in cambio? Forse che io dichiarassi la
mia inferiorità e fragilità di fronte alle sue forze? Tempeste, bufere, naufragi…era questo quello che mi chiedeva di rappresentare?
A volte capitava che una misteriosa avversità mi cogliesse d’improvviso…Era la natura che mi metteva alla prova
per condurmi alla sua fedele celebrazione. La mia opera “Annibale e il
suo esercito attraversano le Alpi” nacque dalla sua sfida.

Turner Anniabale e il suo esercito attraversano le Alpi

Madre Natura mi mostrò la sua terribile forza con la visione
terrificante di una tempesta, durante il mio soggiorno a Yorkshire.

Alla paura, alla sensazione d’impotenza, sopraggiunse più tardi, nel tempo del ricordo, il senso della mia contemplazione e riverenza di
fronte al mistero delle sue forze e al destino della fragilità dell’uomo.
Caro e ostinato amico, prima che tu affidassi alle conoscenze della mia illustre persona, lo sviluppo delle tue nozioni estetiche, sentivi offeso
il tuo senso estetico dallo squallore delle zone in cui gli uomini, quelli
che io chiamo “I mercanti della modernità”, avevano fatto sorgere chiamandoli “nuovi insediamenti industriali”.
Portasti avanti una dura campagna contro il mondo meccanizzato e disumanizzato creato da questi mercanti; non potevi accettare un
sistema che considerasse gli uomini come cose, strumenti, semplici
proprietà. E’ per questo che ti sei rivolto alla mia arte? Anche tu sentivi il desiderio profondo di conoscere il sublime?

quadro di turner tempesta di neve

La scienza in questi anni è divenuta strumento per dominare la natura…

non mi posi mai questo scopo…
Non si può dominare il sublime.
Volevo solo conoscerla, potermi fondere con lei, perché la mia arte me lo permetteva.
Ma il tuo, Ruskin, era un “romanticismo sociale”: l’arte deve porsi al servizio dei grandi problemi che travagliano l’uomo. Poi, tutte queste
tue idee, di fronte alla visione dei miei quadri, divennero evanescenti.
Ti rapì la mia luce, il mistero della mia ricerca. Dimmi un po’…desideravi imitarmi nella genialità delle mie idee, nella finezza del mio  disegno? Io non ho mai cercato il gusto del pubblico. Non ho mai dipinto perché la gente capisse, bensì per immortalare la scena.
Ma odiavo chi sentenziava sulle mie opere, come quando alla Royal
sputarono parole su quel primo abbozzo dell’opera “Incendio delle
Camere dei Lord e dei Comuni”, che avevo mandato. “Uno scarabocchio di colori senza forma e immagine”, parole accompagnate da risa superbe.
Poveri stupidi! Non avevano compreso che un sottile piacere pervadeva la mia mente nello sbalordire, provocare, presentare
enigmi all’apparenza irrisolvibili. Preparai come al solito il mio piano: quel giorno, due ore prima dell’entrata dei visitatori, entrai in sala, investigai rapidamente come la luce del salone illuminasse
la mia opera ancora in fase di metamorfosi, e rapidamente indagai come i colori degli altri quadri, acerrimi nemici, potessero dirottare
verso di loro gli sguardi dei visitatori. Poi iniziai a confabulare
con il mio dipinto per preparare il mio ennesimo attacco. Scelsi accuratamente le mie armi: quei colori che da lì a poco avrebbero
trionfato lasciando a terra, senza respiro, tutti gli altri quadri. A colpi
di pennello completai la mia ineguagliabile opera.

Custodita nella luce solo per lei, divenne la regina incontrastata dell’intero salone.

Turner incendio delle camere 1

Ero diventato folle? Il germe della follia s’era annidato anche nella mia mente?
Sai, la follia non sopporta il viaggio di noi uomini, il viaggio della scoperta, della conoscenza.
Da tempo avevo messo la follia alle corde, avevo allontanato il ricordo di mia madre…
Per anni viaggiai…
Ma non era una fuga la mia, nemmeno mi sentivo un esule senza radici, volevo solo scoprire, penetrare il mistero della luce, custodirne il  segreto nelle mie opere. Non solo durante i miei viaggi studiai
Tiziano, Rembrandt, Raffaello, ma li feci trionfare anche nei miei quadri. Possedevo già allora un tempo speciale distinto in due unità,
che solo dopo una serie di miei atti artistici potevano compenetrarsi:
il tempo della memoria e il tempo del vissuto. E anche se non ero presente nel luogo dell’evento della scena, la mia opera sarebbe stata
in grado di rappresentare fedelmente la veridicità dei fatti perché il tempo del vissuto, di ciò che provavo di fronte all’elaborazione dell’evento, mi permetteva di raffigurare la scena come se fosse
guidata dal tempo di una mia profonda testimonianza oculare. All’impresa dell’evento da rappresentare, alla mia completa padronanza, non mancava mai il mio perfezionismo documentaristico con il quale l’opera non avrebbe mai potuta essere tacciata di finzione.

Ma ora, Ruskin, apri questa finestra…
Ti supplico, aprila…
Il tempo della memoria mi concede il ritorno del mio vero viaggio…
Non ho più bisogno del buio per ricordare, non lo voglio più…

desidero solo rivederla…
Sono a Venezia, Ruskin
A Venezia…

quadro di Turner Venezia, il molo e palazzo

Mi abbandono alle sue acque, alla brezza di una lontanissima primavera.
Ricordo la prima volta che la vidi, il Turner eccentrico, insolente, non fu più ostile alle proprie lacrime.
Piansi…
Piansi perché tutto era poesia.
Per la prima volta il mondo di colori e luce non mi sfuggiva più.
Tu, mio fedele amico, mi dicesti che il mio sguardo era ritornato  allo stato d’innocenza dell’occhio, che è un modo di vedere dei bambini.
Quanto detestai al momento quelle tue considerazioni. “Banale frivolezza di un povero romantico!” fu il mio commento. Ma avevi ragione, Ruskin, perché il mio occhio era veramente ritornato allo
stato d’innocenza. All’improvviso sentivo la presenza di mia madre nell’intera forza espressiva della visione.
Vedevo mia madre prepararmi i colori e dirmi orgogliosa: “Diventerai un importante pittore, mio piccolo William”.
Rappresentai Venezia con la cerimonia dello sposalizio del Doge con il mare, poi chiusi gl’occhi…

Turner Sposalizio del Doge

Quell’ incantevole festa l’avrebbero tributata anche al grande William, ma questa volta mia madre era al mio fianco.
La luce aveva il bellissimo volto di mia madre.
Il segreto della luce era il segreto dell’immenso!
L’infinito amore che abbraccia l’universo.
Nelle mie opere avrei immortalato per sempre il suo volto nel nostro amore, dolcissimo segreto.
Con lei conclusi il mio viaggio perché finalmente sapevo che cosa desideravo…
Ruskin…senti anche tu il canto di mia madre? Avvicinati…William ti chiede di ascoltare assieme il suo canto…

“La morte ora mi è ospite gradita”

Rivedrò mia madre, Ruskin…

Oh Ruskin… sono di nuovo a Venezia con lei…

Perché tutto è di nuovo poesia

Turner Venezia San Giorgio maggiore primo mattino

a ricordo, William

Ma chi è Ruskin?

Ruskin autoritratto

Capricci da ubriaco.
Pittura che si allontana dalla vera imitazione della natura.
Guardando le opere di Turner è come se si guardasse un fuoco di carbone, in cui a partire da forme mutevoli e indefinite, bisogna
lavorare di fantasia.
Il dipinto “Tempesta di neve” sembra acqua insaponata!
Queste furono le parole, scagliate come lance appuntite, da alcuni critici nei confronti di quelle opere di Turner che dichiaravano apertamente la sua evoluzione artistica.
Ben chiara fu la replica di Turner: “Non ho dipinto perché si capisse, ma perché volevo mostrare la scena in sé, che aspetto avesse un simile
evento”.
A conferma della replica di Turner, David Robert, pittore inglese amico di William, scrive: “La sua vita aveva in parte il carattere del suo
lavoro, era misteriosa e nulla sembrava fargli tanto piacere quanto lo
sbalordire gli altri e presentare loro enigmi. Quando cominciava a spiegare qualcosa a qualcuno o a raccontare, s’interrompeva a metà,
assumeva un ‘aria enigmatica, annuiva, ammiccava e sembrava voler dire: “Capiscilo se ci riesci!”
Ma chi difese con travolgente passione le opere di Turner? A soli diciassette anni il sensibilissimo e geniale John Ruskin, si entusiasmò
alle opere di Turner.
Ruskin, giovane ecclettico, nei suoi studi coltivò queste parole da lui riportate nei suoi saggi: “ Il migliore riconoscimento per la fatica  fatta non è ciò che se ne ricerca, ma ciò che si diventa grazie ad essa.”
Ed è grazie ad essa che Ruskin diventò scrittore, pittore e un illustre critico d’arte.
Nel 1840 il collezionista Thomas Griffith, in occasione di una cena nella sua casa a Norwood, presentò il giovane Ruskin a Turner. Finalmente dopo il primo contatto epistolare avvenuto nel 1836, Ruskin incontrò
William Turner.
Nel 1843 John Ruskin pubblicò il primo volume della sua opera “Pittori moderni”, con lo scopo di dimostrare la grandezza dei paesaggisti  moderni, primo tra tutti il grande Turner. Per il giovane Ruskin, la
natura ha donato a Turner un occhio particolare e un ‘immaginazione selvaggiamente bella. “Egli è un veggente” scrive Ruskin,  “Un uomo
dotato di visione profetica”.
Quella visione che solo i suoi occhi, le sue mani, erano in grado di scoprire e raccontare.
Eterne rimangono alcune frasi di Ruskin:
-Dove l’amore e la capacità lavorano assieme aspettati un capolavoro.
-Le menti più pure sono quelle che amano i colori.
-L’arte migliore è quella in cui la mano, la testa e il cuore di un uomo procedono assieme.
E così è stato per il grande, immenso, Joseph Mallord William Turner

Questo post è dedicato a tutti coloro che scoprono e vivono il segreto della luce, dell’immenso, nello sguardo delle persone amate.

Nei giorni dove la luce divampava a Venezia in tutta la sua bellezza, ho ripercorso i luoghi frequentati dal grande William Turner.

Dentro alla magia della luce, ho voluto trasformarmi in uno dei suoi colori, pian piano ho tessuto la trama del mio racconto nell’incanto della visione che mi donava Venezia.

Nella luce di Venezia, ho scoperto la ricerca del magnifico William…

la sua luce e l’infinito desiderio d’amore

Forse  il suo vero e unico testamento

Turner quadro Venezia canal Grande

Luoghi di Venezia frequentati da William: nel 1819 dall’8 al 13 settembre alloggia all’albergo Leon Bianco.

I suoi colori risplendono da:  Ss Giovanni e Paolo, ponte di Rialto, Scuola Grande di San Rocco, imbarco del Canal grande dal bacino San Marco.

Nel 1833 dal 9 settembre per una settimana soggiorna all’hotel Europa in Ca’ Giustinian.

La sua luce vive da: piazza San Marco-Ss Giovanni e Paolo, San Michele in isola,Santa Maria Formosa.

Nel 1840 tra il 20 agosto e il 3 settembre soggiorna nuovamente all’hotel Europa.

L’infinito della sua arte si racconta da: palazzo Ducale, Accademia, Redentore, Giudecca, San Giorgio Maggiore, Arsenale, Madonna dell’orto e dei Gesuiti.

Opere postate: La nave da guerra Temeraire viene rimorchiata al suo ultimo ancoraggio- Regolo-

di Frances Elizabeth Wyne “Casa natale di Turner”

Turner: la nave negriera-

ritratto del padre eseguito da William

Turner: Nant Peris veduta verso Snowdon

Cozens : Lake of Albano and Castel Gandolfo- Turner: il molo di Calais, con pescatori francesi che escono in mare mentre arriva la nave postale inglese- Turner: tormenta di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi- Tempesta di neve, piroscafo all’ingresso di un porto- L’incendio delle Camere dei Lord e dei Comuni- Venezia, il molo e Palazzo-Venezia la piazzetta con il Doge che celebra la cerimonia dello sposalizio con il mare- Venezia San Giorgio maggiore primo mattino- Venezia e Canal Grande.

Brano musicale: Mahler-Adagietto dalla sinfonia n.5 diretta da Karajan con i Berliner Philarmoniker

A presto

Adriana

mia foto a Venezia

17 pensieri su “IO SONO LA LUCE!

  1. pagina ricca di emozione e di quel dolce cuore che fa belle tante cose,
    una pagina ispirata e struggente in alcune parti, aggraziata dalle splendide raffigurazioni pittoriche che proponi,
    a corredo di questo semplice commento ti lascio un brano di Battiato, di alcuni anni fa, che già dal titolo -sebbene in riferimento all’ombra della luce- potrebbe, in parte, ripercorrere e concedersi all’enfasi di questa tua creatura.
    Quell’ombra che alla fine non oscura o mette in secondo piano la luce ma che invece ne esalta il tempo, come luogo e radice, e la grazia, come impressione e fuoco in cui restare e risplendere.
    Ciao

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    1. Carissimo poeta non potevi farmi dono più bello: le tue splendide parole e la voce incantevole del grande poeta musicista: Franco Battiato!
      Le vostre voci rappresentano quella che Virginia Woolf, definisce la danza dominante della vita.
      Voglio quindi ringraziarti con le bellissime parole di Virginia Woolf
      “In fondo al tuo cuore, dunque, il ritmo mantiene il suo eterno battito non è forse questo che fa di te un poeta? A volte sembra scemare fino a sparire del tutto. Ti lascia mangiare, dormire, parlare come le altre persone.
      Poi di nuovo si gonfia, cresce e cerca di raccogliere il contenuto della tua mente in una danza dominante.
      Questa danza è la voce dei poeti”
      Un grazie infinito
      Adriana

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  2. Cara Adriana
    ho letto con interesse (con interesse? Si può leggere senza interesse? Sì, ma solo con gli occhi).

    Dunque ricomincio.
    Ho letto con il cuore quello che hai scritto e sebbene sia trascorso tanto tempo dalla tua ultima riflessione che hai pubblicato, il mio cuore ha ripreso a battere con il medesimo ritmo che lo ha accompagnato durante la lettura precedente.

    Questi Grandi a cui dai vita, fanno parte di quell’unico coro di voci altissime che hai riunito e a cui di volta in volta aggiungi l’armonia di una nuova Voce di cui ci illustri il modo di parlare di guardare, di vivere e le loro opere e la loro vita.

    E se da un certo punto di vista i tuoi articoli danno voce a un coro, essi mettono insieme, sotto il profilo nell’unità e unicità del tuo essere e vivere, una serie di ritratti che costituiscono un album/diario del tuo pensiero quotidiano, un autoritratto in cui narri l’essenza delle tue riflessioni.

    In quest’ultimo ritratto c’è la voce di colui per il quale la vita è luce, ricerca e perseveranza nella luce. Senza la quale , dice il grande Joseph Mallord William Turner, non esiste la possibilità di conoscere l’essenza di ciò che ci circonda, la sua bellezza, il suo valore poetico.

    E invita davvero alla riflessione che tu abbia iniziato a “disegnare” il ritratto di questo personaggio citando il buio, addirittura ponendo(ci) una domanda:

    “Mi stai chiedendo che cosa si può scoprire nel buio?”

    Di solito nel buio si scopre la paura, la sensazione del nulla, la catastrofe.

    Turner nel buio vive il risveglio della memoria.

    Ecco, sembra dirci Turner, chi cerca la luce non vivrà mai nel buio, perché la luce ci permette di andare al di là di noi stessi.

    Andare al di là non è forse un’utopia?

    Ma chi insegue un’utopia non cerca con tutti i modi di andare al di là di se stesso e della realtà come la vedono tutti?

    Ecco la lezione di Tuner, quella che ha insegnato, dimmi se sbaglio, tuo padre a te. Cercare la luce, inseguirla, offrirla agli altri.
    Tuner dichiara di ignorare gli altri. Ma chi proietta al di fuori di sé non può esimersi dall’offrire.

    Ecco perché leggo con il cuore ciò che scrivi.

    Grazie.

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    1. Caro poeta, le tue parole sono doni preziosi …
      le ho vissute come una musica dal ritmo vitale, calibrato nella battuta ritmica della malinconia, della verità, respiro quotidiano della mia esistenza.
      Non ho mai avuto timore, paura di raccontare la mia vita, questo mio viaggio inestimabile e viscerale con la pregnante consapevolezza della nostra finitudine, nelle parole di mio padre:” Vedi piccola…noi viviamo mentre una parte di noi se ne va per sempre…”
      Non ho mai avuto nessun dubbio sull’importanza vitale del raccontare tutte le nostre parti complementari (ognuno di noi è un infinito mosaico di volti amati) perché vi è un’intima essenza che coinvolge uomini e donne…
      l’ Io nella molteplicità degli altri…
      e allora racconto, vivendo profondamente quella voce che forse più di tutte mi appartiene, che ha tessuto le nostre passeggiate a Lido di Venezia nel passaggio delle stagioni, in quei colori che mi onoravano di essere vissuti, ma soprattutto in quella luce che definiva le nostre ombre, i miei giochi infantili e lo sguardo malinconico di mio padre verso il mare alla ricerca di una luce….della sua luce!
      Quale? Ti chiederai? Era la stessa luce che io, bambina, ne rimanevo totalmente affascinata? Quante volte da adolescente me lo sono chiesta…
      Ma in quei momenti la sua luce rappresentava il suo tormento: la ricerca del suo canto perfetto! Lui, cantante lirico, dotato di una voce definita dai grandi Maestri ” decisamente straordinaria”, doveva inesorabilmente superare ogni limite, andare al di là di quel dono elargito dagli Dei.
      La sua voce doveva diventare perfetta, assoluta…al di là del tempo? Da dove nasceva questa sua ricerca? Da un lontanissimo canto ancestrale ereditato con la sua nascita? Quali pensieri lo conducevano lontano dal mare placido, tranquillo che i miei occhi osservavano incantati?
      A parer degl’altri doveva considerarsi fortunato, magari un “eletto” dagli Dei per la sua straordinaria capacità timbrica, per i suoi acuti…
      ma nessuno si ricordava che mio padre era un tenore lirico drammatico, e già nel timbro della sua voce si svelava la sua drammaticità, la ricerca della sua luce.
      io, intanto, stavo di fronte al mare…
      io, intanto, vivevo il mio mare…
      perché sapevo che puntuale arrivava il giorno “maledetto” con le sue parole…
      Quel giorno, il fatidico giorno, mio padre preparava i suoi spartiti foderati di rosso, poi ripeteva il suo ennesimo saluto: “Piccola, faccio una breve sosta per qualche settimana. Devo arrivare al concerto alla perfezione…mi capisci? No! Ti chiedo troppo! Sei ancora una bambina, la mia bambina”.
      Come poteva permettersi di fingere che io non lo capissi?
      Mio padre e la sua fuga…
      mio padre nella sua “isola” ( quella che io chiamavo l’isola della morte”), pronto con il suo Maestro a rendere la sua voce perfetta, il suo canto sublime!
      Passavano i miei giorni senza i suoi passi, senza le nostre passeggiate e io dalla mia finestra osservavo il mare, il tremolii della luce …i segreti delle onde.
      E allora diventavano così vere le parole che più tardi scoprii nelle mia amata Virginia Woolf: ” Ogni onda del mare ha una luce differente, proprio come la bellezza di chi amiamo”.
      Amai mio padre nella sua luce differente…
      Amai mio padre anche dentro la mia rabbia, le mie continue domande sul significato profondo della sua ricerca…
      Cosa nascondeva? La ricerca dell’eternità? O il voler donare al mio tempo destinato alla memoria, il ricordo di una voce sublime, perpetua nel “nostro” tempo?
      Cosa nascondeva il suo struggente amore per Venezia, la sua, la nostra, città natale?
      Quando troverò qualche risposta?..
      Di una cosa sono certa fin da bambina:
      “Sono venuta al mondo per vivere la bellezza”
      E la sua voce è la vera testimonianza.
      Per sempre,
      al di là del tempo degli uomini
      dentro una luce speciale
      Adriana

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      1. Carissima Adriana,
        A tanta poesia che mi hai donato con le tue parole, mi permetto di rispondere con una mia poesia di cui ti indico solo il link, vergognandomi d’inserirla qui come risposta.
        Credo che nei suoi versi troverai ( se avrai la gentilezza di andare a leggerla) qualche risposta alle tue domande.
        Sono risposte di un poeta (come tu generosamente mi chiami) e quindi con poco di razionale e tanto di passionale. Insomma risposte che spingono l’anima sull’orlo di un precipizio per inebriarla d’infinito.
        Esattamente come fai tu con i tuoi scritti.
        https://marcellocomitini.wordpress.com/2019/03/21/ritorno-un-romanzo-senza-trama-le-retour-un-roman-sans-trame-the-return-a-novel-without-a-plot/

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  3. E’ particolarmente toccante questo post con la citazione dei dipinti di Turner su Venezia, proprio nel momento in cui la città è provata così duramente…
    Anch’io adoro le opere di Turner che trovo di una straordinaria modernità e leggiadria. Ma soprattutto mi sembra centrata l’associzione tra l’atmosfera indefinita e sfumata delle sue creazioni pittoriche e il clima musicale del brano di Mahler che già è stato legato alla città dal film “Morte a Venezia” .
    Il tuo post è da leggere e rileggere..
    Grazie di tutto, cara Adriana!!!

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    1. Un grazie sincero per le tue profonde parole, è sempre una “lezione di felicità” riceverle!
      Sono nata a Venezia, ho vissuto in quest’incantevole visione per parecchi anni…
      ho voluto far nascere a Venezia i miei figli perché fin dal loro primo sguardo potessero viverne l’incanto.
      Ora, in questi giorni a dir poco drammatici, desidero solo che ritorni la “sua voce, la sua musica”…
      perché tutto sia di nuovo poesia
      Adriana

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    1. eccomi, ieri leggendolo ho provato molte sensazioni. Il post dei tuoi che più mi ha coinvolto. Molto accurato come sempre, con dati preziosi che in gran parte non conoscevo che mi fanno approfondire un tema affascinante.
      La storia della madre è tragica e diretta come un coltello che squarcia la carne, in questo caso del tutto innocente. In modo sapiente lasci andare la figura della madre da cui siamo tutti colpiti, per farcela ritrovare alla fine, in una sintesi che ha tracce di guarigioni profonde. Ma quello che mi ha preso di più è il discorso sulla luce, che ovviamente domina. Vorrei leggere le riflessioni di Turner. Hai messo in evidenza benissimo quanto di intenso ci sia, anche a livello psicologico, in un laboratorio continuo di un uomo su un tema così pregnante. La luce. Ho letto da qualche parte che una forte luce attira un’ombra più intensa. Qui mi pare il contrario: il dolore per la perdita della madre, che diviene come accade spesso perfino rancore per la sua assenza, attira una quantità di luce che, dopo tanto, dura in noi e splende fino a qui.

      Notte

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      1. oggi 1 gennaio 2020
        non è un caso che ho scelto di rispondere proprio oggi…
        le tue parole sono la semina del mio nuovo raccolto…
        Quel raccolto fatto di giorni che vive nel profondo desiderio di ringraziare le persone che vivono di poesia in quel mare infinito che rappresenta la mia vita.
        Ecco perché oggi ho desiderato ritornare nel mio mare e passeggiare lungo la mia spiaggia e vivere di luce!
        Nel bacio della luce!
        Quel bacio è custodito nei luoghi della mia memoria, dentro ai luoghi delle persone che amo…
        nel ritratto dei loro volti fatti di luce!
        Ed è la luce che mi conduce per mano nel mondo della mia infanzia….
        E mentre passeggiavo nelle mie prime conquiste di vita, vivevo il sorriso di mio padre con le sue magiche parole: “Vi è una luce che vive anche nell’ombra..”
        Un abbraccio e un grazie infinito

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  4. Ti ringrazio per avermi segnalato via mail la pubblicazione di questo post, e mi scuso per il ritardo con cui sono venuto a commentarlo: purtroppo è stato un periodo molto impegnato.
    Del tuo post (splendido come sempre) mi ha colpito in particolare il riferimento all’eroico personaggio di Attilio Regolo: hai proprio ragione, la difesa della propria dignità dev’essere uno degli obiettivi supremi di qualsiasi uomo degno di questo nome. Per questo motivo Attilio Regolo ha fatto benissimo a rimanere fedele a questo valore, anche quando ha compreso che avrebbe dovuto pagare un prezzo altissimo per questo gesto di coerenza e soprattutto di coraggio. Storie come la sua ci suscitano un sentimento di grande ammirazione, e costituiscono un esempio al quale dobbiamo ispirarci in ogni momento della nostra vita.

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    1. Oggi…
      anno nuovo…
      ascoltando il mio amato Debussy, accompagnata dalle note del suo “Chiaro di luna”…
      nell’infinita tastiera della vita, suono uno dei miei desideri…
      Quel desiderio che oltrepassa il tempo programmato dagli uomini…
      Perché alla fine del mio splendido viaggio, vorrei ritrovare il “Paradiso dei poeti”, ascoltare di nuovo la melodia delle vostre parole.
      Per questo voglio ringraziarti profondamente e dirti che il profondo valore della mia vita si nutre della linfa vitale delle parole come le tue
      Un grazie infinito
      Adriana

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