La tela del crepuscolo

la danza crepuscolare

Ultima lettera per gli amici…

ultime parole scritte, perché forse questo Dio, da me finora rinnegato, mi concederà la grazia di lasciare a te, caro amico, il mio ultimo dipinto, un dipinto scritto.

I miei occhi da giorni stanno vivendo una solitudine crepuscolare. Frammenti di luce svelano le ultime esili ombre di figure, di volti in strade ormai troppo lontane. E vecchio, tristemente vecchio, sorretto solo dalla malinconia del colore, tento di conferire a questi frammenti una fisionomia riconoscibile alla mente, alla memoria. Lo sforzo è immane, caro Paul, e spesso, troppo spesso, vano, perché il buio disorienta anche la mente mentre il più triste dei pensieri si annida dentro ad un ostinato silenzio. Non penso che alla morte, mio caro amico, niente di più triste della degradazione di una così nobile esistenza ad opera della vecchiaia. Niente di più assolutamente vero! Dov’è finito il tempo in cui mi sentivo forte, quando ero pieno di progetti? Sto scendendo la china molto alla svelta, rotolando non so dove, mi trovo avvolto in moltissimi pastelli, come in una carta d’imballaggio. Tu sei l’unico in grado di condurre questa lettura, di cogliere il vero ritratto delle mie parole. E oggi la vecchiaia consola la mia solitudine offrendomi il desiderio di svelare alle persone amate l’intimo sguardo della mia esistenza. Senza che nessun timore, nessun dubbio sulla mia incapacità d’amare, possa tradire questo desiderio. Perché chi ama, non si prodiga alla ricerca di rendere perfetto il suo amore, di lavorarlo e architettarlo quasi alla stregua di un dipinto, secondo i più puri canoni estetici. Ama, ubriaco dell’imperfezione.

Ubriaco di quel corpo che folgora il suo desiderio, ama mentre lo sguardo della donna amata rivela il mistero dell’esistenza. Ogni innamorato possiede quel fertile dono che rappresenta il tratto distintivo del poeta. Come un canto le parole si trasformano in verità inconfutabili, volte a raggiungere un abbraccio universale…

Forse anche con Dio.

Io, povero vecchio, follemente cieco d’occhi e di novità, m’intenerisco al pensiero di non averti mai rivelato quanto le tue parole, la tua leale amicizia, sia stata così fertile per la mia vita. Oggi, mio caro amico, mi rimane solo questa compagna: la memoria. L’unica compagna che possiede ancora il dono di non tradire ciò che l’occhio nella mia lunga vita ha registrato, vissuto. Ma fino a quando?

Ssssh…non offrirmi nessuna risposta

Anche oggi desidero da me stesso una perfetta solitudine, ma diversa da quella solitudine che esigevo nella mia età feconda, fermamente sicuro che solo la solitudine mi avrebbe donato il tempo necessario per giungere alla perfezione dei miei dipinti. D’altra parte la solitudine ha spesso accompagnato i protagonisti dei miei quadri, come la malinconica figura femminile di quel dipinto che tu rinnegavi per la sua struggente solitudine. “Lascialo da solo quel quadro! Sì, quel quadro così assente!  Non vedi che quella povera donna l’hai inebetita con l’alcool della tua tristezza !”

l'assenzio

Queste erano le uniche parole sferzate dalla tua rabbia, perché per te l’arte era ed è puro ed esclusivo giovamento, mai solitudine. Oggi questa solitudine è solo la consapevolezza della mia esistenza, quel senso di intimo raccoglimento che si svelava solo quando il mio sguardo s’appoggiava delicatamente su quel volto per sfiorare la melodia delle linee e cogliere con un’unica carezza le tonalità dell’incarnato. E allora lì, in quel preciso momento, si compiva un miracolo al quale non ho mai posto nessuna rivelazione, nessun possibile chiarimento. Perché quel miracolo c’era, esisteva, e se avessi posto la mia mente a tributar domande forse sarebbe scomparso per sempre e mai più si sarebbe rigenerato. In quell’incontro scoprivo che quel volto apparteneva alla vita e omaggiava il mio sguardo dei suoi eventi giornalieri, della sua storia. E il ritratto, che si raffigurava già nella mia mente, nell’ardore delle mie mani, si mescolava alla vita!

Diventava assoluta la mia commozione quando il mio occhio riusciva a fermare nel modo più preciso e convincente un particolare atteggiamento del corpo, quello che tu chiamavi l’impronta del cuore, per comprenderne l’anima. Prima di tradurre in espressione artistica quest’attimo inconfutabile, mi assillavo a comprendere quanto di questa verità sarebbe rimasto impresso in modo indelebile nella memoria.  Comunque, sovrano incontrastato dell’atto creativo, rimaneva sempre il mio occhio, intento ad osservare ogni percettibile movimento, ogni modulazione di linee, pronto a vestire di storie, di vita, il volto che avrei ritratto, il corpo che avrei rappresentato. Trasformavo la tela grezza della mia esperienza visiva in un processo d’esplorazione.

il mercato del cotone

Tu, mio caro amico, lo chiamavi “disposizione dell’anima”, io oso definirla semplice disposizione dell’occhio,  che mi accompagnava sempre, dal primo albore della mia giornata.

Parole leali erano le tue, quando mi dicevi che riuscivo nei miei quadri a compenetrare il soggetto come un poeta. Io, comunque, non mi sono mai raffigurato nella veste di un poeta, non possiedo il tuo dono.

Figuriamoci nella veste sacrale di un genio! Ogni mio quadro era il frutto di una lunga e sofferta meditazione. Il lungimirante confronto con la mia ancora esile arte e le opere dei grandi maestri mi portava a non accontentarmi mai delle mie opere. Perennemente insoddisfatto ci ritornavo sopra, qualcuno osava dirmi in modo ossessivo.

Spesso quando andavo a trovare qualche acquirente dei miei quadri notavo con solerte aria divertita che i quadri non erano appesi alle pareti. Come un’aquila nasconde le sue prede, il povero acquirente nascondeva le opere del maestro.

Le mie opere, che al mio sguardo sarebbero apparse ancora incompiute, opere che avrebbero acclamato a gran voce di ritornare a casa per qualche semplice ritocco. Ma forse, con il passar delle ore, il ritorno si sarebbe moltiplicato in infiniti ritocchi, perché il mio sguardo era avido di verità protese alla perfezione. La chiamavi pittura laboriosa, a volte noiosa…. Ma se non fosse stata noiosa non sarebbe stata divertente!

Impietoso con me stesso…sempre?

Forse era già insita nella mia vita di giovinetto, la sfida di immortalare con sguardo impeccabile la realtà. La visione doveva trasmigrare nell’eterno. E oggi mi chiedo se questa suggestiva idea, si sia provvidenzialmente insediata già nell’età feconda degl’anni giovanili germinando il suo seme, per sconfiggere negli anni a venire la mia paura della morte e quel dolore che s’avventa ancora nei miei ricordi, come la tormentata perdita della mia adorata madre. Sai….mi chiedo se tutto sommato sono stato meno coraggioso di quanto sperassi.

Ho sempre pensato che l’arte sia il dominio sul dolore attraverso la bellezza…

Ma ora? Oggi? Dopo?

Quale bellezza potranno cogliere i miei occhi? Da quale differente condizione di luce potrò ricostruire la mia vita?

Esco….esco lo stesso, entro nella mia abituale passeggiata quotidiana….

Mi sostengono le mie mani, diventate i miei occhi.

Per sempre,

Degas

la passeggiata

Da Erik Satie, Gymnopedie n.1

Lo  sguardo architetto di Edgar Degas

la mendicante

Fin dagli anni giovanili Degas è stato un artista solitario, totalmente assorbito dalla sua arte, sua unica compagna, a scapito delle relazioni umane e degli affetti. Tale inclinazione lo condusse nell’età matura, a chiedere il perdono dei pochi amici che avevano colto sotto il carattere duro e scontroso la grandezza dell’artista integro, incorruttibile, mai disposto a sottomettere la sua arte alla moda del momento. Ed è proprio il poeta Paul Valéry, amico dell’artista, che dedica al pittore un saggio che intitola “Degas danza e disegno”, che ha il merito di svelare l’intimità di Degas.

E’ sempre Valéry che racconta come il padre di Degas, Auguste de Degas, dopo una prima resistenza alla decisione del figlio di dedicarsi alla pittura, ne asseconda la volontà, intravedendo in Edgar l’immenso talento. Egli avrà cura di indirizzare il figlio a quella profonda meditazione sui maestri della tradizione italiana che conosceva e amava. “Hai osservato bene gli adorabili maestri, te ne sei colmato lo spirito? E Giorgione l’hai bene analizzato nei suoi mirabili toni accompagnati da un così bel disegno di grande eleganza?” Sono le parole che tessono amabilmente i dialoghi, quegl’incanti poetici  tra il padre e il giovane figlio.

il padre

A dir poco commovente è la lettera che Auguste spedisce all’amato figlio, dopo aver ricevuto alcuni disegni preparatori del ritratto della famiglia Bellelli. “Hai fatto un passo immenso nell’arte! Il tuo disegno è forte e il tuo colore è giusto. Lavora tranquillamente, continua su questa strada, e stai certo che farai grandi cose. Hai un bel destino davanti a te, non scoraggiarti, non tormentare la tua anima.”

Giunto in Italia nel 1856,  Degas può finalmente contemplare le opere di Giotto. Si entusiasma talmente tanto per gli affreschi di Giotto che si rifiuta di copiarli per poter mantenere intatta nella memoria l’emozione ricevuta. Nel 1860 il giovane Degas ha eseguito più di settecento copie, soprattutto di opere del primo Rinascimento italiano e del classicismo francese. Lo sguardo si rivolge tutto ai movimenti, agli arabeschi che richiamano la sua attenzione. Lo sguardo architetto del giovane Degas isola figure separandole dall’intero contesto e, studiandone gli atteggiamenti del corpo e dell’espressione, si crea un archivio di forme al quale ricorrerà ogni volta ne avrà bisogno. Già nel 1853, a Parigi, si è iscritto come copista al Louvre. Qui ha luogo la sua formazione artistica nel modo che egli stesso ha scelto, secondo la sua massima:   “Bisogna copiare e ricopiare continuamente i grandi maestri, perché tutta quella gente, quei maestri sentivano la vita e non la rinnegavano”

Dalle parole scritte all’amico Moreau si comprendono le sue convinzioni sulla complessa e accurata formazione di un pittore: “Non è forse vero, mio caro amico, che c’è la possibilità di creare luce, bellezza, sentimento, disegno, con un grande amore per quel che si fa? Con la voglia d’imparare e una profonda convinzione dell’eccellenza della pittura?”

Lo sguardo meraviglioso di Degas, fin da subito, è in grado di penetrare l’ampia gamma di possibilità espressive insite nel ritratto. In una lettera all’amico Paul Valéry, Degas registra le sue annotazioni mentre ritrae:

“Caro Valéry, mentre ritraggo persone in pose tipiche, familiari, il mio occhio, le mie mani, si preoccupano di rendere nel loro viso la medesima espressione dei corpi. Perciò se è il viso che caratterizza una cara persona, farla ridere. Ci sono ovviamente sentimenti che non si possono rendere per decenza, non essendo i ritratti destinati solo a noi pittori! Quante fini sfumature da rendere!”

la toletta

 

Attraverso il ritratto, l’occhio fotografo di Degas è in grado di scandagliare le qualità luminose dei colori, l’architettura raffinata delle linee, la gestualità dei corpi,  per trovare la chiave misteriosa e poter accedere alla vita quotidiana, ai pensieri profondi vissuti da uomini e donne che l’artista fissa per sempre nei suoi ritratti. Ma questa sua straordinaria capacità di rappresentare la realtà umana, non è esente da critiche sarcastiche. “E’ un povero deviato oftalmico! Un lezioso voyeur” grida qualche emerito studioso alla vista dei quadri di Degas che raccontano giovani donne nude nel momento della toeletta. Donne riprese in una quotidianità fino allora mai rappresentata. Ma nessun critico serio poteva certo tralasciare l’abilità predatrice di quell’occhio in grado di scovare ogni minuziosissimo dettaglio visivo, di isolare ogni pigmento coloristico, e infine di predare in pochissimi istanti l’ambita preda: quel mutamento quasi impercettibile della luce, la leggerissima sfumatura di un arazzo visivo, trama di forme nell’alchimia dei corpi femminili. Accalappiata la preda, l’occhio si trasforma rapidamente in un occhio impietoso volto a denudare le miserie del corpo umano, a dissacrare quel corpo femminile che la pittura fino allora aveva idealizzato. Non più quindi carne piatta e liscia, sempre nuda delle Dee, ma carne svestita, reale, ripresa nel rituale di abitudini intime. Donne che Degas racconta all’amico Valéry: “Le mie figure femminili sono degli esseri umani semplici, ma sinceri; si limitano ad accudire il loro corpo. Anche la pelle umana vive di una propria vita espressiva! Mi chiedi perché non mi sono mai sposato? Ecco! Ho sempre avuto paura che mia moglie potesse vedere uno dei miei quadri e dire : “Mm…carino..” una cosa è l’amore, un’altra è la pittura. E abbiamo soltanto un cuore.”

 

Ma quell’occhio fotografo, nell’ultimo decennio della vita di di Degas, ha un declino inesorabile.

I disturbi alla vista che lo avevano preoccupato fin dalla gioventù si aggravano tanto da far spegnere lentamente i suoi occhi. Nonostante l’avverso destino, non è raro trovare ancora Degas, ombroso e solitario, vagare per la città in cerca di situazioni ancora da osservare, da scoprire e da trasformare in soggetti per nuovi quadri.

Negl’ultimi anni della sua vita quegli occhi non possono più nulla ma le sue mani cercano ancora forme….

Le sue mani diventano i suoi occhi, intente a modellare fino alla fine l’essenza della vita.

creo finchè vivo

Colto da un aneurisma cerebrale, Degas muore il 27 settembre 1917 e viene sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Montmartre. Secondo il suo stesso volere, davanti alla tomba, viene pronunciata soltanto la seguente frase: “Amò molto il disegno”

nudo

Ps: vi chiedo di scusare la mia innata voglia di travestirmi…

Perché, dopo essermi seriamente documentata, ho voluto migrare in un quadro di Degas, e raccontare con la mia scrittura il rapporto con la sua unica compagna di vita: l’arte…

testimonianza profonda del suo amore per questo meraviglioso viaggio.

Questo post, questa mia lettera scritta con la voce di Degas, è dedicata a mio figlio Gianluca, a quel suo “Concerto al buio”, evento organizzato nell’ambito del Progetto Lions Kairos con lo scopo di migliorare l’integrazione sociale delle persone che per timori o pregiudizi troppo spesso sono considerate “diverse”. Il concerto, svolto completamente al buio, ha avuto come obiettivo quello di far  vivere ai presenti la ricchezza del suono del pianoforte senza l’ausilio della vista, proprio come solo i non vedenti riescono a fare.

A mio figlio, il mio inestimabile maestro

A presto

Adriana Pitacco

 

 

34 pensieri su “La tela del crepuscolo

  1. Complimenti per il post. Credo che il tuo travestimento sia ben riuscito a far interpretare e rivivere Degas. Solo quel vivere nel passato a me sembra strano in un artista. Niente come l’arte è in grado di immortalare il presente, o meglio quel eterno presente che ci costituisce al di là dei sogni del divenire…

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  2. Un vibrante immedesimarsi che non può che essere figlio di una grande ammirazione e empatia per l’artista. La perdita della vista è quanto di più terribile poteva capitargli … il concerto al buio (che mi ricorda le attività che vengono svolte qui a Milano all’Istituto dei Ciechi, per far capire ha chi ha il dono della vista le difficoltà di chi invece non lo possiede) è un modo molto diretto per fare capire le difficoltà. Bello, il tuo post, e la tua consueta sensibilità che traspare nei tuoi scritti. A ri leggerti presto, Pina

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    1. Carissima, desideravo tanto poter scardinare l’idea che parecchi possiedono, di un Degas “ombroso e solitario”.
      Un giorno, mentre ascoltavo la musica del mio amato Satie, mi sono chiesta se il grande artista fosse realmente così.
      Da questa mia domanda è iniziata la mia ricerca riguardante qualsiasi documento che mi svelasse il vero carattere del grande maestro.
      Ma solo dopo il Concerto al buio, ho iniziato a scrivere questa lettera, ad ascoltare il dramma che questo grande uomo ha vissuto.
      Mi sono travestita in Degas…
      E più mi travestivo…..
      più sentivo la sua splendida bellezza, quello che io chiamo “incanto divino”
      Un grande abbraccio
      Adriana Pitacco

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  3. Molto intensa la tua metamorfosi: la poetica, l’arte della pittura, l’anima, il pensiero di Degas sono in questo tuo scritto. Traspare il declino, la sofferenza di un uomo che vede appassire pian piano la luce, la voce di un artista che cerca di esprime, in altro modo, la sua arte, per non arrendersi al crudele buio.
    Grazie Adriana, la tua sensibilità si coglie in ogni passaggio. Ma soprattutto grazie per la testimonianza di vita, che ci hai voluto raccontare. Molto bella e anche interessante l’iniziativa del “Concerto al buio”.
    Un caro saluto a te, Stefania

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    1. Carissima poetessa, prima di tutto ti chiedo di scusarmi se ti rispondo così in ritardo!
      Ma ho vissuto un periodo di impegni interminabili, a volte difficili da gestire( parola che per il mio carattere non è proprio azzeccata!)
      Ora, mentre ascolto Mozart, desidero ringraziarti sinceramente, e dirti che quest’estate mi dedicherò a leggere le tue splendide poesie
      Un grazie infinito e…
      un brindisi a questi giorni pieni di luce
      “L’attimo della vita”
      direbbe Claude Monet
      A presto
      Adriana Pitacco

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  4. Carissima Adriana, carissima amica, sei stata un po’ senza scrivere ma sei tornata portandomi in dono parole sublimi (scusa, l’aggettivo è davvero l’unico in grado di descrivere la bellezza di quello che hai scritto). Nel mio infinitamente piccolo so bene cosa si prova a perdere a poco a poco quello che avevamo da sempre.
    Trovo splendida l’iniziativa del concerto al buio. Il mio abbraccio a te, a tuo figlio e ai tuoi piccoli artisti. ❤

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    1. Quanto sono felice di averti incontrata in questo viaggio incredibilmente affascinante.
      Il viaggio della vita, mi regala emozioni intense come le tue meravigliose creature poetiche.
      Ogni giorno, si rinnova l’atto miracoloso della nascita
      Vita che non tradisce mai, perché assieme ai miei piccoli artisti scopriamo il mondo vero e sincero dei sentimenti
      Grazie
      Adriana

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  5. pagina corposa e profonda che attraverso un racconto epistolare scuote emozioni e e bellezze assolute! Per arrivare anche alla solitudine del silenzio e alla visione perduta in cui ogni colore diventa quello delle mani, del tatto. Un senso che difficilmente può paragonarsi alla luce degli occhi, alle immagini nitide dell’iride. E’ però pur sempre un conoscere, un ripiego forse, ma denota la grande e coraggiosa capacità di “riciclare” se stessi e attraverso se stessi l’arte. Un post ricco di pathos e di graffiante suggestione. Una lettura che sa dire e che coinvolge. Grazie. Ciao

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    1. Ti ringrazio infinitamente!
      Mentre ascoltavo il “concerto al buio” ho realmente vissuto la solitudine del silenzio…
      Dentro a questa solitudine ho voluto esprimere il dramma di uno sguardo assente, ma ancora vivo nella memoria
      Adriana

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  6. Grazie di cuore, cara Adriana, di questo tuo post nel quale ti immedesimi in Dégas con tale maestria e competenza da rendere vivo il tuo “travestimento”! Il tuo scritto è una mirabile pagina di POESIA da leggere con calma e sulla quale ritornare più volte per scandagliarla sul piano artistico e umano.
    Quanta cultura e quale sensibilità stanno alla base del tuo lavoro!
    Complimenti a te e a tuo figlio per la bella iniziativa del Concerto al buio!
    Ti abbraccio con gratitudine!!!

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    1. Sono io che abbraccio te con profonda e unica gratitudine, perché in te ritrovo il grande amore per la musica che onora le nostre esistenze.
      Amore per questa Dea, da sempre, fin dal primo attimo della mia esistenza, legato al ritmo ancestrale della vita.
      Quel ritmo, quel gioco di suoni , di sguardi mentre mio padre cantava, che mi rendevano così legata a lui nel gioco del travestimento.
      E così, ancora adesso mi diverto a recitare qualche parte, senza mai dimenticare il serio lavoro della ricerca di fonti.
      Forse il mio è il mio modo per esprimere a mio padre la mia vera riconoscenza
      Un grazie sincero
      Adriana Pitacco

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  7. Cara Adriana post meraviglioso a cui non si possono aggiungere parole ma solo i ritmi del respiro, palpiti che si fanno più veloci a leggere tanta bellezza. Un abbraccio grande e grazie per questa condivisione di profonde altitudini

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    1. Grazie, infinitamente grazie per le tue bellissime parole!
      Anche se ti rispondo in ritardo, carissimo poeta, ricorda che raccolgo il mio tempo dedicato all’ebbrezza magica della lettura, e poso il mio sguardo sulla melodia delle tue poesie.
      E così in volo….
      L’altitudine è pura magia!
      Un grazie infinito

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      1. Ti abbraccio forte forte carissima Adriana e sono io sempre che ringrazio te per il dono della tua splendida sensibilità

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  8. Mi unisco agli altri nel dire che quanto hai lasciato va oltre lo scritto; è un insegnamento per noi vedenti , ed un incoraggiamento per chi saprà fare di ogni perdita, di ogni venir meno una risorsa. Grazie , Adriana, felice di questo incontro !

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  9. Cara,

    complimenti come sempre, ho letto il post tutto d’un fiato e ne sono rimasta molto colpita. In particolare, credo che questo post “dipinga” in maniera molto intensa quel qualcosa di indescrivibile che si cela “dietro” la solitudine di un personaggio magico e straordinariamente “umano” come Degas ma anche di molti altri, anonimi e non, che hanno la poesia e l’ arte nel cuore.

    Un abbraccio,

    Federica

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    1. Scusami se ti rispondo così tardi, ma in questo periodo ho vissuto momenti nei quali ho dovuto affrontare una miriade inesauribile di impegni.
      E finalmente oggi sono riuscita a trovare il tempo dei momenti preziosi, quel tempo che io considero “elisir di lunga vita”….
      Perché condividere con persone amiche l’amore indiscutibile per l’arte è un profondo omaggio che posso offrire a questo “viaggio “miracoloso della vita!
      Un grazie sincero
      Adriana Pitacco

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  10. Cara Adriana,
    perdonami se passo a trovarti molti giorni dopo la tua mail, ma è stato un periodo davvero impegnato.
    Ho adorato profondamente il tuo post, in particolare il passaggio in cui si fa riferimento al miracolo dell’arte, che si compie nel momento in cui il pittore si imprime nella testa l’immagine da dipingere e riesce poi a riprodurla perfettamente: chi ci riesce ha palesemente una scintilla divina dentro di sé, e quindi è davvero opportuno e calzante il termine miracolo. Degas ce l’aveva, sapeva di averla e ne ha parlato con fiera consapevolezza di sé: anche nell’autostima è stato un gigante.

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    1. Carissimo, è sempre un immenso piacere ricevere i tuoi commenti!
      Prima di scrivere questa lettera, ho migrato dentro ai vari quadri di Degas, ho peregrinato in varie biblioteche cercando fonti, documenti che mi facessero vivere questo grande artista, troppo spesso etichettato come “Uomo misogino…forse troppo snob!”
      Poi…ascoltando il canto della pioggia, seduta sotto il mio adorato olivo, albero alquanto magico, ho indossato una nuova parte, forse una nuova maschera pirandelliana, e così ho scritto questa lettera…..
      Devo dirti che mentre la scrivevo mi sentivo realmente Degas, vivevo il suo dramma e la sua forza inesauribile….
      Ancora una volta, mi sono ritrovata ad amare sempre più questa dolcissima compagna: LA VITA!
      un caro saluto
      Adriana Pitacco

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  11. Che meraviglia questo post cara Adriana. Lo avevo già letto ma non avevo potuto commentare. Lo leggerò e rileggerò. Come non amare Degas ? E dalle tue parole traspare tutta la tua grande sensibilità di fronte all’arte in genere e in questo caso sapendo immedesimarti a tal punto da regalarci parole di largo respiro. Averti incontrata è davvero una gioia per me. Chi ama il bello è da me sempre apprezzato. Grazie davvero. Complimenti di cuore. Baci. Isabella

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